Crucifixsus di Antonio Lotti- Sarnico Gennaio 2011

7 voci miste
Antonio Lott
i nasce il 5 gennaio 1667 a Venezia, da Matteo “sonador” e da Marina Gasparini, figlia di un “barcariol”. Nel 1687 viene assunto quale cantore aggiunto mentre è maestro Giovanni Legrenzi. Perfeziona la sua preparazione musicale con Ludovico Fuga – maestro di cntrappunto – e nel 1689 entra nella Cappella Marciana come contraltista È aiuto organista nel 1690, organista al secondo organo nel 1692 e dal 1704 diviene titolare al primo organo. Nel 1736 è nominato Maestro di Cappella in San Marco. Nel 1717 ottenne il permesso per recarsi a Dresda, dove vennero rappresentate diverse sue opere tra le quali Teofane per le nozze di Augusto III di Polonia con Maria Giuseppa d’Austria nel 1719. Ritornò a Venezia nel 1719, e vi rimase fino alla morte nel 1740.

 

“Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato: Passus, et sepultus est”.
(Symbolum Nicænum Costantinopolitanum)

Una breve riflessione su alcuni “Crucifixus” presenti nella letteratura musicale.

Si trovano pagine mirabili, di grandi autori e di meno conosciuti, inseriti in composizioni di ampio respiro (Credo, Missae) o come brani staccati. Tuttavia, in molte di queste composizioni, un aspetto che trovo particolarmente evocativo, e di alto valore espressivo, è il ricorrere di alcune particolarità, volute o meno, legate all’aspetto compositivo di questi brani.

Vorrei, in senso generale, riferirmi almeno ai seguenti “Crucifixus”: Bach (dal Credo della Messa in SI min, BWV232), Antonio Lotti (a 8 voci) e Antonio Caldara (a 16 voci)

E’ piuttosto comune l’uso di un andamento lento, caratteristica quasi scontata, visto il contenuto testuale: Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato: morì e fu sepolto.

La vocalità di tutti i Crucifixus (almeno iniziale e finale) è contenuta in un registro medio-grave.

Tutte e tre le composizioni fanno largo uso della Pathopoeia: Bach prevalentemente con direzione discendente (spettacolari i cromatismi discendenti sulla parola “sepultus” che conducono alla “pace del sepolcro” conclusiva in tonalità di SOL Maggiore rispetto al MI min iniziale); Lotti invece con direzione ascendente (inizio a terrazze, partendo dal Basso II e salendo fino al sopr.I, in ben 8 battute); Caldara la utilizza verso la conclusione, anch’egli in corrispondenza della parola “sepultus”, con valori molto larghi quasi a significare la lentezza e il perdurare della situazione dolorosa.

A differenza di Bach, Lotti e Caldara non concludono modulando al relativo Maggiore ma utilizzano la Terza Piccarda (la Pace del Sepolcro).

Altre situazioni melodiche comuni ai tre autori sono i motivi di cinque note discendenti per grado congiunto, solo che in questo caso vengono utilizzati in corrispondenza di parole differenti. Per Lotti sulla parola “Passus”, con direzione ascendente e per grado congiunto. Per Caldara invece sulle parole “Sepultus est” (catabasi) mentre altre voci procedono sempre in direzione discendente ma per cromatismi. Bach pure utilizza la sequenza di cinque suoni discendenti, ma come 2° motivo-parola su “Crucifixus”.

L’andamento preferito da tutti e tre i compositori è certamente quello per gradi congiunti, ma i due italiani non si lasciano sfuggire qualche slancio poco più passionale ed inseriscono, come ipotiposi, dei disegni melodici con chiaro rimando alla croce: sulla parola “Crucifixus”, Lotti inizia con salto di 3° o 4° discendente, poi 5° o 6° ascendente e ripresa discendente di tono o semitono. Caldara invece inizia con 6° ascendente, 7° discendente e semitono ascendente. Bach, in questo caso, propone un andamento melodico più regolare, ed elegantissimo; eppure l’immagine della croce ci traspare egualmente attraverso le imitazioni a voci alterne e agli incroci fra le stesse (le prime 8 battute parola Crucifixus, catabasi), dalla 9° alla 13° ripetizione delle cellule melodiche su “Crucifixus” ma alternando le entrate.

Un altro motivo di interesse è l’idea melodica che tutti e tre i compositori riservano a tutto ciò che ha un rimando terreno: a noi, popolo di Dio (etiam pro nobis) o l’ignavia umana (sub Ponzio Pilato).

In corrispondenza di entrambe le situazioni, Bach utilizza un andamento melodico con fioriture, a significare certamente vitalità, umana condizione, come pure eterna ricerca, insicurezza assoluta di sè stessi e del proprio ruolo, ecc. Lotti invece sull’ Etiam pro nobis inizia a procedere con suoni brevi e ribattuti, con andamento sillabico. Caldara infine utilizza un’espediente timbrico, affidando alle voci femminili la parte iniziale che canta “Crucifixus etiam pro nobis”, in modo drammatico e dolente e riserva l’entrata successiva delle voci maschili in corrispondenza delle parole “sub Ponzio Pilato”.

Concludo questa breve analisi a confronto, proponendo una versione tutta personale del Crucifixus, senza poter neanche lontanamente aspirare ad un confronto con le opere sublimi di cui appena parlato. Il mio spunto compositivo utilizza solo retoricamente i salti tra le note dell’accordo di Do minore per disegnare idealmente una Croce cercando contestualmente di attirare l’attenzione sull’espressività dei due timbri vocali e le loro interazioni: una voce di soprano che, sospirando, disegna una melodia dolente mentre la voce di basso procede con suoni staccati. E’ il cammino dolente sotto il peso sfiancante della Croce. La “pace” della sepoltura arriverà, presto; il rintocco funebre del timpano (qui sovrapposto al pedale dell’Organo) la presagisce.

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